Con La verità dell’Alligatore (1995) Massimo Carlotto ha iniziato l’originale saga di avventure di Marco Buratti. Cresciuto nella giungla d’asfalto della Padova degli anni Novan- ta, prima di finire nei guai con la legge, il tenace Buratti era il cantante di un gruppo di musica blues, gli Old Red Alligators, ed è per questo che tutti hanno cominciato a chiamarlo semplicemente «l’Alligatore». Si esibiva nei club del Nord Italia accompagnando la sua musica con il rubboard (quella lamina di metallo ondulata che si suona con un cucchiaio a mo’ di grattuggia e che fa parte della tradizione musicale zydeco e di quella cajun). Ingiustamente condannato a sette anni di carcere, una volta tornato libero ha scelto di svolgere l’attività di detective privato.
Un mestiere sporco per il quale è tagliato perché conosce bene il mondo dell’illegalità e sa come dialogare con certi individui. Beve calvados e ascolta solo ed esclusivamente blues. Non ama la legge e i percorsi istituzionali e viene spesso a patti con i criminali pur di risolvere i casi in cui è coinvolto. Si serve spesso di loro e della loro professionalità per punire i cosiddetti «intoccabili». Ha un senso innato e personale per la giustizia che spesso non coincide con quella dello Stato. È cresciuto molto, romanzo dopo romanzo, affrontando non poche difficoltà che avreb- bero fermato chiunque altro. Per cui romanzi successivi come Il mistero di Mangiabarche, Nessuna cortesia all’uscita, Il corriere colombiano, Il maestro dei nodi, L’amore del bandito, La banda degli amanti, Per tutto l’oro del mondo, Blues per cuori fuorilegge e vecchie puttane, ma anche la graphic novel Dimmi che non vuoi morire (sceneggiata da Carlotto e disegnata da Igort) possono essere considerati tappe imprescindibili dell’esistenza di Marco Buratti. Indagini nelle quali Carlotto ha abilmente shakerato gli ingredienti del tipico hard-boiled americano e francese con un’ambientazione italiana verace, alternando alla cruda descrizione della realtà contemporanea una sagace ironia nera. L’Alligatore condivide frequentemente le sue imprese con il malavitoso e inseparabile Beniamino Rossini (al quale di solito delega la risoluzione dei cosiddetti lavori sporchi), ma anche con l’eversivo ed ex terrorista Max La Memoria (che è il vero e proprio centro documentazioni dell’Alligatore). La vita di Rossini, assieme al suo passato di contrabbandiere, è stata raccontata nel volume La terra della mia anima (nel quale i lettori hanno scoperto il rapporto fra la realtà e la fantasia nella sua vita) e nel tempo il suo senso dell’onore non è mai venuto a mancare. Max dal canto suo non ha mai risolto fino in fondo i suoi problemi con la dieta, anche perché farlo potrebbe metterlo davvero in crisi.
I tre si muovono cautamente fra le vie di una Padova borghese e corrotta che è divenuta da tempo sede di sfascio comunitario e di spaccio. Ma il Triveneto sonnecchiante, dove imperano la mafia del Brenta e quella albanese, non è l’unica coordinata delle loro scorribande, li vediamo an-che muoversi in Corsica, in Sardegna e in Francia fra ex funzionari del Sisde, trafficanti di droga, avvocati corrotti, delinquenti. Come si addice al suo carattere, l’Alligatore ama pescare nel torbido, può occuparsi di ricatti alle coppie d’amanti così come di traffici illeciti legati ai «compro oro». Ne Il mistero di Mangiabarche il nostro detective scoperchia e denuncia fra le altre cose lo stato di guerra civile presente in Corsica; in Nessuna cortesia all’uscita l’obiettivo è invece la mafia del Brenta, mentre ne Il corriere colombiano è il sistema dei narcotrafficanti ad essere messo sotto inchiesta. La narrativa noir di Carlotto si mostra quindi nello specifico una narrativa di denuncia e critica sociale.