Estratto dall’intervista impossibile a Georges Simenon

Questa intervista impossibile è stata costruita da Bruno Gambarotta per Tutti i colori del giallo 2023 usando dichiarazioni originali dello scrittore belga ed è stata messa in scena da Gambbarotta assieme a Luca Crovi e Alberto Schiavone al Cinema Lux di Massagno.

Che mestiere è scrivere?
La scrittura è considerata una professione, ma io penso che non lo sia. Scrivere non è una professione, è una vocazione all’infelicità. Penso che un artista non possa mai essere felice.

Perché?
Perché penso che se un uomo ha l’impulso di fare l’artista è per il bisogno di trovare se stesso. Ogni scrittore tenta di trovarsi attraverso i suoi personaggi, attraverso tutto ciò che scrive. Ma non è solo questione di guardarsi dentro: l’artista deve anche guardare dentro gli altri mediante la propria esperienza di sé. Scrivere, per lui, è partecipare, perché sente che l’altro è come lui.

In quale momento ha deciso che sarebbe diventato uno scrittore?
Penso che la necessità di scrivere mi sia venuta il giorno in cui ho capito di appartenere al mio ambiente e, nello stesso tempo, di esserne al di fuori … verso i dodici, dodici anni e mezzo. Improvvisamente mi sono reso conto che quelle persone -parlo dei miei, delle zie e degli zii -erano delle vittime, e mi sono detto: No, non voglio essere anch’io una vittima. Non voglio avere lo steso destino di questa gente. Voglio tirarmi fuori, rimanerne al di fuori.

Sempre a questo proposito, lei in un’altra occasione, ha parlato di sfida …
Scrivere è stata per me una specie di sfida a mia madre. Quando mi vedeva leggere – ho cominciato molto presto -mi diceva: ‘Faresti meglio a fare qualcos’altro invece di leggere i tuoi sporchi libri’. Si trattava di Dostoevskij, Turgenev, Dickens. Ho cominciato a scrivere come un artigiano, all’età di sedici anni, con la costante convinzione che un giorno avrei raggiunto qualcosa.