Abbiamo fatto due chiacchiere con Gian Andrea Cerone in attesta di vederlo salire il prossimo 15 maggio sul palco del Cinema Lux di Massagno per Tutti i colori del giallo 2025
Com’è nata la sua idea di costruire noir ambientati a Milano?
“Con il mio libro di debutto Le Notti Senza Sonno desideravo impostare una serie di romanzi che si potessero leggere singolarmente ma che, in qualche modo, fossero legati nel loro sviluppo complessivo. Per farlo mi servivano tre cose. Uno scenario geografico ben preciso, ovvero la Milano attuale. Un alveo narrativo ampio, che ricordasse in modo innovativo il romanzo d’appendice, per poter dare profondità e spessore umano ai miei personaggi. E infine il racconto del male in tutte le sue principali forme. Da quello della psicopatia generata dalle sofferenze subite durante l’infanzia, a quello industriale della criminalità organizzata, fino al più meschino di tutti, quello che matura nel seno delle famiglie e che si nutre di rancore, invidia e avidità”. Da anni lei si occupa di podcast e di quelli di Storielibere in particolare, quanto crede che siano diventati una dimensione narrativa avvincente?
« I podcast sono un’alternativa al libro e all’audiolibro, un medium speciale. Necessitano di una precisa strutturazione narrativa, molto più simile alla sceneggiatura di una serie televisiva che alla radio. Le storie devono essere originali, create appositamente, e divise in episodi senza perdere di vista l’efficacia complessiva. Non credo abbiano influenzato il mio stile, semmai mi hanno insegnato a organizzare un flusso narrativo”.
Per anni ha giocato a rugby cosa le ha insegnato quello sport?
“Tantissimo, me ne rendo conto in molte occasioni della vita. Innanzitutto a fare squadra ma anche a contare sulle proprie forze, se non sei ben preparato diventi una zavorra per tutti, oltre che per te stesso. Il rugby è uno sport leale ma spietato, dove nessuno ti regala nulla. E questo aiuta a imparare dalle sconfitte. E poi mi ha lasciato gli amici più sinceri, quelli che ci saranno sempre”.
Come ha scelto i personaggi della sua originale squadra?
“Il commissario Mario Mandelli e il suo alter ego, l’ispettore Antonio Casalegno, sono antitetici ma complementari. Posato e sposato, il primo. Esuberante e donnaiolo il secondo. Ma insieme formano un formidabile investigatore ideale. Diciamo che compensano reciprocamente i loro difetti e fragilità, che sono molti. I membri della squadra sono differenziati per provenienza geografica e caratteristiche personali. Milano prima di essere una città multietnica è una multi Italia, dove i gruppi di lavoro sono eterogenei per natura. Mi interessava evidenziare questo aspetto. Ciascuno di loro porta il suo contribuito e la sua specificità, anche dialettale. Le donne sono i veri motori dei romanzi. La moglie di Mandelli, Marisa detta Isa, è una pragmatica bergamasca sempre al comando delle operazioni famigliari. Così come Marica Ambrosio, una ex lanciatrice di giavellotto romagnola che si sta trasformando in una super poliziotta”.
Ma esiste davvero l’Unità di Analisi del Crimine Violento di cui lei parla nei suoi romanzi?
“Certamente. L’UACV è un’unità che dipende dalla Scientifica e la sua direzione centrale è a Roma. Ma siccome la caccia ai criminali più violenti necessita di un complesso lavoro di squadra che unisce i più moderni metodi scientifici alle pratiche più tradizionali, presso le questure più importanti come quella di Milano ci sono delle unità investigative dedicate che si muovono sul campo e conducono le indagini sotto il cappello dell’UACV. Sono donne e uomini dalle vite normali che, per ragioni professionali, spesso sono costrette a superare i confini dell’inferno”.